Comelico Cultura    

IL PECCATO MORTALE
Di Italo Zandonella Callegher

Le grosse travi di legno del vecchio rustico, annerite dagli anni e dalle intemperie, non erano sufficienti ad attutire gli improperi lanciati dai due figli all’anziano genitore. Gli echi delle frasi villane e i lamenti del vegliardo uscivano dalle sconnessure delle porte e delle finestre incontro al vento che poco smorzava. Fra  le case, nei vicoli erti, correvano serpeggiando gli insulti a cui più nessuno dava retta, né Marigo, né Laudatori, né Saltaro, i loro richiami essendo stati come foglie al vento. – Ogni paese ha i suoi cattivi. Noi abbiamo questi! Che Dio aiuti quel povero dalle ire dei figli ingrati – mormorava rassegnata la gente. – Non che in casa navighiate nell’abbondanza, ma perdiana, una fetta di polenta per chi vi ha dato la vita non dovrebbe mancare- disse un dì ai due giovinastri il parroco del paese vicino,salito per le funzioni di Sant’Anna dato che il villaggio “fa cinquanta fochi, et non ha la chiesa”. I rimproveri si perdevano nell’aria assieme al mugugno dei giovani malvagi. Tutt’al più le scenate si attenuavano per una sola serata, riprendendo più aspre che mai il giorno seguente. I due gaglioffi s trovarono una sera nell’ampia stua (tinello) di legno, appoggiati al forno del pane, a dover discutere sul da farsi. La loro cattiveria aveva raggiunto  l’apice della crudeltà mentale e la semenza fu unanime e terribile: - Lo manderemo a mendicare un po’…poi vedremo- dissero con già nell’animo l’epilogo della triste storia. S’incamminò il vecchio tapino per le viuzze del paese vivendo d’elemosina e di un tozzo di pane, festeggiando l’occasione, non rara,  di una fetta di polenta e formaggio. Ma la gente è buona ,quassù. Nessuno è mai morto di fame ed il vecchio padre, tutto sommato, era più nutrito ora che nei tempi andati, quasi ingrassato. Stava bene, insomma, e ciò dava fastidio ai due figlioli. Nelle ampie tasche del cappotto, a mo’ di dispensa , trovavano posto le cibarie più svariate. Pane, polenta, un pizzico di sale, un po’ di farina, qualche seme di granoturco non ben macinato. La sua dimora era ormai stabile, lassù nei pressi di Monte Zovo, a cavallo della Val Visdende, lontano dalla rabbia dei suoi famigliari. Là trascorreva le tristi serate, mano nella mano, curvo sui suoi pensieri. Al tramonto della natura s’affacciava quello della sua esistenza. Pensava agli anni trascorsi  con la consorte, da tempo scomparsa e sepolta nel piccolo cimitero del villaggio, ai lustri di povera, ma sana felicità coniugale, ai figli cresciuti orfani e soli. Lui occupato nei lavori dei campi e nel bosco, loro a combinar malanni, sciocchi e maleducati fino alla cattiveria esplosa nell’ingratitudine, le vessazioni, l’avarizia. – Che vita da bestie- concludeva asciugandosi col pollice le lagrime che inumidivano la barba.  – Non mi va giù  che ‘sto  vecchio se la passi quasi meglio di noi. Bisogna decidersi a toglierlo di mezzo. Nessuno lo saprà mai se agiremo con astuzia-conclusero un giorno i due figli e all’imbrunire salirono al fienile del Monte Zovo ove ormai sonnecchiava il padre. E con una crudeltà che non si può descrivere, con la fredda determinazione che rasenta la follia, lo uccisero.  Pianse la natura l’infame delitto. Sotto la pioggia battente, mentre sulla zona s’ammontavano le nere nuvole del peccato, seppellirono il misero corpo fra due vetusti alberi contorti. E poi giù  lungo il viottolo di corsa, distanziati per non farsi scorgere, fino a casa  a rodersi nel rimorso del nefando misfatto. Arrivò la neve. Coprì le valli e i prati, i monti e la tomba sulla quale tremavan gli alberi assiderati. Poi scoppiò improvviso il miracolo della primavera. Tornò il verde a trionfare sul bianco, il rosso, il giallo l’oro dei fiori, tutto il susseguirsi di colori, un cinguettar d’uccelli, il lavorio degli animali nel bosco… Tutto cantava la gloria della vita. E vissero pure e spuntarono i germogli di due semi di granoturco che il vecchio ucciso teneva nelle tasche del pastrano. Uscivano a curiosare il cielo, a portare la verità, a gridare a tutti quant’era accaduto. Salirono le mandrie al pascolo e con esse i pastori che videro il miracolo delle piantine finora mai cresciute così in alto. E non capivano come mai questo potesse essere accaduto. Decisero di spiegarsi l’enigma scavando profondamente nella terra e, seguendo le fresche radici, trovarono quasi intatto, quasi dormiente, il corpo del vecchio misteriosamente scomparso e che ben conoscevano. Furono arrestati i figli malvagi, consegnati alla giustizia degli uomini e a quella, forse più terribile, di Dio per i parricidi. Da questo fatto, secondo la tradizione, nacque il proverbio comelicese: al picé mortàl ne stà skondù (il peccato mortale non sta nascosto. Dialetto di Costalta).