Comelico Cultura    

IL TURIBOLO
Racconto di Italo Zandonella Callegher

Che proprio alla chiesa di Costalta fosse stato rubato un turibolo, era una vergogna. Se ne rendevan conto i fedeli che da tempo non annusavano più il buon profumo di incenso; se ne rendeva conto il parroco costretto a mutilare le funzioni religiose per mancanza dell’oggetto sacro. Se ne rendeva conto il turiferario che aveva perso molto del suo prestigio personale ormai volato oltre la cupola del tempio con l’ultima nuvola di resina aromatica. Così i maggiorenti del paese decisero di riunirsi una sera nella fumosa osteria centrale per trovare una soluzione al serio problema. La sala della Regola non era ancora ultimata e i regolieri tenevano le loro assemblee, stretti e pigiati, nel pubblico locale non disdegnando la presenza dell’oste e relativo servizio di rosso, in cuor loro sperando nella ritardata consegna della stanza legale dove non sarebbe più stato possibile collegare il dilettevole uso del vino all’utile adunanza comunitaria. Vino per altro servito in misura più che minima dato che lo statuto delle Regole comelicesi non permetteva e puniva severamente il questionare, l’insultare, bestemmiare, presentarsi ubriachi alle riunioni, parlare senza licenza, assentarsi prima che la riunione venisse sciolta.  Attorno ai Laudatori, il Marigo sedeva pomposo sull’unico seggiolone del locale. I Saltari, pochi in verità, tentavano di portare al silenzio l’esuberante platea. Infine, consapevole della sua autorità, con le dita nei taschini del gilè, il Marigo s’alzò e prese la parola.
-Spiritus Sancti gratia illuminat Sensus et corda nostra……Amen, risposero distrattamente i presenti concludendo la frase  rituale di ogni inizio. –Regolieri, che la nostra chiesa sia senza turibolo non è mistero per nessuno e ciò non ci onora, giusto?  Giusto! Replicò l’assemblea.  –Che si debba trovare una soluzione immediata per coprire l’ironia e la commiserazione dei paesi vicini e ridare al nostro parroco, alla nostra comunità ciò che le è stato carpito mi sembra un dovere primario, giusto?! –Si, bene, giusto!  E per poco non ci scappò un applauso.  –Ebbene regolieri, continuò il Marigo aggiustandosi la cintura dei pantaloni – io propongo che tre nostri compaesani, i migliori naturalmente,vengano mandati a spese della regola in quel di Venezia ad acquistare un turibolo per la nostra bella chiesa a lode e gloria di nostro Signore e dello Spirito Santo…-Amen- disse distrattamente un vecchietto in fondo alla sala. –Bene! Approvato!- sentenziò l’assemblea già pronta a dirigersi verso il banco dell’oste. –Anuta, dame na palança- ordinò il solito vecchietto. – Ma che palança e palança –sbraitò seccato il Marigo. – Qui bisogna  scegliere tre degne persone ,prima. Poi  bevete pure.  E così furono scelti tre fra i paesani più in vista, più svegli e abituati a viaggiare.  Si vestirono con gli abiti migliori in mezzalana lavorata in loco, cappello di feltro in testa, zoccoli ai piedi, la pipa migliore, fazzoletti variopinti. Roba da festa insomma. E via verso Venezia con il carro e i buoi come s’usava allora. Giunti che furono nella città lagunare, attratti e storditi dalla bellezza dei luoghi, distratti dalle donzelle sfarzosamente vestite, frastornati dal vociare continuo e dal traffico pedonale sulle calli e le piazzette, intontiti dalla brezza salmastra ed entrati infine nella bottega di cose sacre più non si ricordarono le parole da dire e vani furono i tentativi di riportarsele alla mente. Il venditore, trà la pazienza  e il divertimento, scelse quest’ultimo, ben avendo capito ciò che i tre volevano, ma riservandosi un intermezzo burlesco alle spalle dei poveri montanari. A uno di questi venne la solita geniale idea. Si tolse uno zoccolo e lo pose nel grande fazzoletto a quadri rossi e verdi che solitamente portava. Annodò i lembi dello stesso, il tutto formando un sacchetto che alzò con la mano sinistra mentre con la destra lo dondolava avanti e indietro sulla scorta della passata esperienza in materia di incensatore ufficiale della patria chiesa.  Provò e riprovò i gesti da fare poi, rivolto al bottegaio, parlò con sicurezza: - Noi vogliam quel….coso…che fa così…così..e così! E che fa male agli occhi di Sant’Anna! Capito?   Ma nel dondolare lo zoccolo contenuto nel fazzoletto, il comelicese colpì piuttosto duramente il naso del venditore di cose sacre al punto da farlo sanguinare, così vendicandosi dell’ironico atteggiamento del serenissimo cittadino. Tamponandosi le narici il bottegaio esclamò: -Ma che uomo terribile…! – Bravo signore, bravo! Proprio così si chiama ciò che vogliamo: turibolo…turibolo!  Abbandonarono la pianura ritornando ai loro monti col prezioso fardello.  Da quel giorno la chiesa riprese l’antica considerazione, non si sa se con la partecipazione o meno degli…occhi di Sant’Anna.