Comelico Cultura    

LA CAMPANA DI SAN LEONARDO
Di Italo Zandonella Callegher

La bella chiesa cinquecentesca di S. Leonardo si crogiola al sole sulla ripida costola prativa  a monte di Casamazzagno, alle pendici meridionali del monte Spina. In stile gotico, comprende la navata nella quale sei colonnine di tufo si rincorrono in leggiadri costoloni intersecatesi a sostegno della volta massiccia. Corre al di fuori un contrafforte mentre l’abside ha alcune colonne in rilievo terminanti a capitello. Un’antica pergamena ci tramanda la cronaca della consacrazione, avvenuta nel 1548 il giorno della festa del Preziosissimo Sangue, con l’intervento del Vescovo Luca Bisanzio.  Il campanile, decano della valle, ripete lo stile del basamento nelle finestre archiacute della cella campanaria e probabilmente anche nella cuspide distrutta dal fulmine il 25 agosto 1841. Nell’occasione vi rimase uccisa la campanara che, com’è ancora tradizione, suonava per invitare i fedeli alla preghiera durante un temporale. I rustici fienili sparsi qua e là sui verdi poggi comelicesi  raccolgono ed affievoliscono i rintocchi della campana posta in sostituzione di quella più antica e famosa che, un tempo assai lontano, rallegrava con i suoi rintocchi solenni tutti i paesi del Comelico. Si racconta infatti che, molti anni orsono, sicuramente secoli, sul quadrato campanile di S. Leonardo v’era una campana assai rara, artisticamente lavorata, squillante come nessun’altra e armoniosa tanto da essere dagli altri villaggi invidiata, e non solo della valle. Viveva in quei tempi oscuri a San Candido in Pusteria un altrettanto oscuro mercante ebreo che, tanto per non smentirsi, avrebbe ben volentieri ceduto anche l’anima al diavolo pur d’accaparrarsi qualche moneta in più pel suo già robusto forziere. Gli capitò l’occasione di portarsi in Comelico per i soliti commerci, che sempre leciti non erano, e giunto che fu al passo di Monte Croce udì i fievoli armoniosi rintocchi portati dal tiepido vento del sud, rimanendone stregato. Arrivò a Casamazzagno, salì a San Leonardo, vide e sentì da vicino la leggendaria campana. La cupidigia si impossessò della sua mente e la tentazione sempre più violenta di possedere quel prezioso oggetto, fonte di chissà quali guadagni, serpeggiò pel suo corpo nervoso e denutrito. L’ebreo era un uomo abile in tutte le pratiche, non ultima quella della stregoneria. S’inoltrò quindi nel buio vicolo sassoso formato dalla regolare processione di alcuni fienili, sedette su una trave, si concentrò talmente da sembrare appisolato e invocò pian piano, sottovoce, poi sempre più forte, quasi un urlo, la comparizione e l’intervento di Belzebù, re dei dannati, il potente delle tenebre. Esso comparve all’uomo, e non era la prima volta, sicuro di poter combinare un ottimo affare, ma guardingo, ben conoscendo le doti birbone del suo losco interlocutore.  –Benvenuto dal tuo mondo di fuoco,…o mio re! Ma ascoltami, amico- iniziò l’ebreo curvo sulle mani nervose. - La campana che vedi qui sopra, io lo so, a te dà fastidio perché raccoglie probabili futuri tuoi clienti; a me invece farebbe comodo perché dalla sua vendita potrei ricavare dell’oro che a te non serve. Mettiamoci d’accordo. Per rubarla e portarla a San Candido…oh! Scusami se ho nominato un tuo rivale, - s’affrettò a dire l’ebreo avendo notato il lungo brivido che aveva scosso il demone – proprio nella mia bottega, cosa vuoi in cambio? Qual è la tua pretesa?  Il diavolo era stanco quel giorno. La spola tra paesi e inferno, le trattative faticose con i morenti e la spossante ginnastica che doveva sostenere per evitare le aspersioni d’acqua santa su di essi, i contratti subdoli con uomini e donne di pochi scrupoli, lo avevano fiaccato. Tuttavia la proposta era allettante. L’interasse poteva essere doppio, forse triplo: non più fedeli richiamati alle orazioni, la sicurezza di carpire definitivamente l’anima dell’ebreo, il ricatto che ora gli avrebbe chiesto. Pensò un po’, strofinò con le poche grossolane dita di porco le lunghe corna caprine, rassettò la barbetta bifida e parlò tuonando:  - Voglio… in cambio voglio un’anima! Termine di consegna tre giorni dopo la sistemazione della campana nel tuo retro bottega.  E guardò l’uomo di sottecchi, quasi per scorgere un segno, un indizio che gli facesse capire d’aver forse chiesto troppo. – Affare fatto – rispose repentino l’ebreo stringendo con un certo ribrezzo lo zoccolo destro del maligno. – Avrai l’anima che hai chiesto entro tre giorni, come da contratto verbale testè stipulato. – E s’allontanarono, uno giù per il paese,l’altro alla chiesetta di San Leonardo, fregandosi le mani o gli zoccoli come fa chi ha la consapevolezza di aver concluso un grosso affare. Noncurante del sacrilego patto, l’ebreo continuò nelle sue speculazioni in Comelico e rientrò quindi in Pusteria. Belzebù invece si stese sull’erba, sotto la prima luna, in attesa delle tenebre profonde, ora in cui era solito agire. Ora che fu suonata l’Ave Maria,  e il campanaro claudicante era sceso al villaggio e l’eco ancora si rincorreva tra le finestre del campanile, il diavolo si mise al lavoro. Trasse la campana dal suo sostegno, la calò sull’atrio, se la caricò sulle pelose spalle ed ansimando come una bestia da soma s’avviò lungo la ripida costa di Tartòi, sotto il monte Spina. Giunto in località Pèra Sfessa (Pietra Fessurata) calò la campana nell’antro pauroso e per le vie sotterranee a lui ben note la fece giungere a San Candido in Pusteria, in casa dell’ebreo. Quest’ultimo, avutone possesso, vendette la campana alla  parrocchia di San Candido ed al demonio che reclamava la ricompensa pattuita consegnò l’anima… di un bottone (cioè la parte centrale del bottone stesso, chiamata appunto, termine tecnico, anima). Lo strumento sonoro fu posto sul campanile della cittadina pusterese e a distesa raccontò la sua avventura ad un comelicese di passaggio, particolarmente predisposto a recepire simili colloqui e che la tradizione così tramandò:

A San Lunàrdu son partida,
su par Tartòi son stada trasinàda,
a Pèra Sfessa son stada nteràda,
e a San Candi rvàda.
Son stada baratada

Par l’anma de n butòn!