Comelico Cultura    

 

UNA COMUNITA’ ORIGINALE

 

Il Comune di Comelico Superiore appartiene geograficamente al Cadore, del quale occupa la parte più settentrionale per una superficie di 96 Kmq. Confina a nord-est con l’Austria e a nord-ovest con la Pusteria. Gli abitanti sono situati ad un’altitudine media compresa fra i 1200 e i 1300 m/s. mare.

E’ rinomato come tutto il Cadore per le bellezze naturali tuttora incontaminate; vi si elevano cime dolomitiche bellissime, le foreste sono ricche di legname pregiato. Il fondovalle è solcato dal torrente Padola e dall'affluente Digon. Il Padola in seguito confluisce nel Piave. Compongono il Comune di Comelico Superiore quattro paesi: Candide (sede comunale), Casamazzagno, Dosoledo e Padola.

I primi documenti storici risalgono alla fine del XII secolo.

L’organizzazione sociale faceva capo alla Regola «matrice» di Candide composta da quattro paesi, costituitisi poi in Regole autonome: istituti caratterizzati dall’uso diretto di proprietà collettive da parte degli aventi diritto (discendenti degli antichi originari).

Le Regole di Cadore e d’Ampezzo, raggruppate in dieci «centenari» (Pieve, Auronzo, Comelico Superiore, Comelico Inferiore, Ampezzo, Oltre-Piave, Domegge, Valle, Venas, S.Vito) e confluenti nella «Comunità di Cadore», costituivano di fatto una «federazione». Esse, conservando la propria autonomia amministrativa, concorrevano, attraverso la nomina di propri rappresentanti, a formare il governo centrale del Cadore con sede in Pieve, composto dal Consiglio maggiore generale e con alla testa il Capitano, nominato dal Patriarca d’Aquileia prima del 1420 e dalla Repubblica veneta fino al 1797.

Il Consiglio maggiore generale nominava un Vicario e riceveva il giuramento del Capitano che s’impegnava a: osservare lo Statuto, rendere giustizia, custodire il denaro pubblico, comporre le discordie, provvedere al paese il grano, punire i malfattori e non mettere altre imposte. Ogni Regola disponeva di un «Laudo» che ne disciplinava la vita. Il Laudo di Candide del 1235 è probabilmente il più antico del Cadore. Il Laudo stabiliva il luogo e la data della convocazione dei capi famiglia, precisando la pena pecuniaria per gli assenti, prevedeva le modalità per l’elezione del Marigo (sindaco), dei Laudatori (assessori), dei saltari (guardie dei boschi) oltre ad altri giurati con funzioni di cassieri, sovrintendenti ai boschi ed alle strade, ai beni delle chiese, regolava l’uso dei terreni comuni ed i diritti sulla promiscuità dei fondi privati. Le cariche erano assegnate a rodolo (a turno) per un anno. Gli eletti prestavano giuramento sul Vangelo. L’accettazione delle cariche era obbligatoria. 

Al termine dell'incarico il Marigo doveva rendere conto dell'amministrazione pena la perdita del diritto all'acqua, al fuoco e, nel caso estremo, la demolizione del tetto della casa. Punizioni severe erano previste per coloro che si presentavano a assemblee ubriachi o disturbavano insultando e bestemmiando, oppure si allontanavano senza permesso prima dello scioglimento della seduta. Il Marigo, assistito dai laudatori, costituiva la «magnifica banca»; essa vigilava perché nessuno usurpasse i beni della Regola, giudicava le violazioni ai Laudi e componeva le controversie fra i regolieri.

Norme minuziose regolavano il pascolo degli animali, «pascolo di piano e di monte», la nomina degli amministratori delle malghe, dei pastori e casari, tempi e prestazioni di tutti con relative sanzioni per gli inadempienti. Altre norme regolavano la manutenzione delle strade, dei ponti, delle fontane ed in genere delle opere pubbliche, obbligando in caso di necessità i regolieri a concorrervi prestando le loro opere.

Una norma (Candide 1630) unificava addirittura la larghezza delle slitte, prescrivendo che fossero fatte a pezzi quelle di larghezza inferiore a cinque palme, multando gli artigiani costruttori ai quali era fatto obbligo di contrassegnarle con il proprio marchio.

Alcuni Laudi cadorini imponevano precauzioni rigorose per la prevenzione degli incendi. Una normativa dettagliata riguardava poi lo sfruttamento del patrimonio boschivo – suddiviso in «vizze» specializzate: per fabbrica, per scandola, per legna da ardere, per acquedotto ed a difesa degli abitati dalle slavine -, il taglio ed il trasporto del legname.

Molta importanza veniva riservata alla presenza «obbligatoria» dei regolieri alle maggiori cerimonie religiose.

La Regola disponeva – e dispone tuttora – di un patrimonio indivisibile ed inalienabile appartenente alle famiglie discendenti dagli antichi originari costituito da boschi, pascoli ed immobili.

Il reddito del patrimonio collettivo serviva ai bisogni dei singoli (rifabbrico, fabbisogno, legnatico, pascolo) ed alle necessità di pubblico interesse.

La Regola provvedeva in proprio ai lavori pubblici, all’approvvigionamento e distribuzione delle granaglie in caso di carestia. 

Essa costituiva di fatto un datore di lavoro che consentiva ai regolieri di contare su un reddito aggiuntivo costituito per lo più da granaglie. I Laudi non prevedevano elargizioni in denaro. Ai diritti dei regolieri venivano contrapposti precisi doveri per la salvaguardia del patrimonio comune e della buona armonia della comunità. Ancora oggi le Regole assolvono alle loro finalità pur nelle difficoltà di seguire il rapido mutare delle esigenze di una comunità sempre meno legata a quel modo di vivere ed a quelle risorse.