«Anò
k e inuzenzä e providenzä»
Dove
c’è innocenza c’è provvidenza.
Le
case brulicavano di bambini vispi e rumorosi. Suonava di tanto in tanto la
«campanélä»
ad annunciare il ritorno del cielo e di qualche angelo che non aveva retto
all’impatto con la vita. Ritornava lassù a pregare per i genitori che
spesso non aveva avuto il tempo di conoscere. L’Angelo veniva presto
sostituito dai più forti «Bepu o Tuninä». I giochi infantili erano
fatti di bamole di pezza, di scos (lumache) e sataiuki
(grilli). A tokascòndi e magaròtu
(guardie e ladri) i veloci piedini scalzi sfidavano anche la prima neve.
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«Bìsoñä
nasi se s vo esi»
Bisogna
nascere se si vuole essere.
Dalle
nozze alla nascita del primogenito trascorreva per lo più il tempo
strettamente necessario. Se il marito emigrava, la famiglia cresceva a
scadenze prevedibili. I fratellini si dividevano le cure dei genitori
impegnati dalle tante incombenze quotidiane; la solidarietà tra «piccoli»,
costituiva quindi una risorsa fondamentale. I vestitini andavano goduti a
turno da tutti; se al maschietto capitava d’emergenza la sottanina della
sorella, non si temevano future confusioni di differenza così naturali!
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