TOPONIMI
DELLA VAL COMELICO*
Vogliamo
credere che tra coloro che percorreranno gli itinerari di questa guida, che si
snodano in un ambiente tanto vario anche sotto l'aspetto culturale, vi sarà
qualcuno portato ad interrogarsi sulla corretta pronunzia e sul significato dei
nomi di luogo che andrà via via incontrando, sul tipo di parlata da cui essi
provengono, sulle storie che ad essi si accompagnano. A costoro è dedicato
questo necessariamente succinto capitolo. La materia non è sempre di facile
esposizione soprattutto se, come nel nostro caso, non è possibile fornire una
trattazione completa e sistematica. Abbiamo scelto perciò di proporre un breve
viaggio toponomastico che attraversa le due aree, la sappadina e la comeliana,
passando in rassegna i nomi dei paesi, dei corsi d'acqua e dei monti che, tra
quelli citati nella cartografia al 25000 dell'I.G.M. e nei suoi derivati, più
si prestano ad un commento storico-etimologico. La speranza è che questo
percorso, pensato come sussidio agli "itinerari fuori porta", possa
essere interessante e godibile comunque, anche stando comodamente in poltrona.
*Le
interpretazioni etimologiche dei toponimi del Comelico, alcune delle quali
inedite, sono dovute in massima parte all’eminente glottologo prof. Giovan
Battista Pellegrini. I nomi della conca di Sappada sono stati verificati con
Alberto Piller. Ad entrambi va il nostro più sentito ringraziamento.
*
* *
Deutonici
atque Latini.
Che
il Piave - il fiume veneto per eccellenza - cominci suo viaggio tra i monti con
un nome che, come vedremo, suona tedesco, non deve stupire. Nella regione
attorno al monte Peralba (da petra 'pietra, monte' e alba 'bianca'),
da cui esso ha origine, nel corso
dei secoli si sono infatti incontrate, scontrate e mescolate genti latine e
slave e germaniche. Buoni testimoni di ciò sono i paesi, i monti e le acque
circostanti con i loro nomi e la loro storia. Ad esempio il fiume che in tedesco
si chiama Gail e che è la Zéglia degli italiani e la Zilja
degli slavi. Oppure il paesino carinziano di Luggau: nome di origine slava (significa 'palude'), abitanti di
ceppo germanico, pascoli un tempo appartenuti ai comeliani. O ancora l'austriaca
valle di Frohn a nord del Peralba, che
deriva il suo nome dall'antica Veranes (probabilmente
dal latino voragines), alpeggio di
gente della Carnia. Ed anche lo
stesso Lesachtal, toponimo derivato da
un termine slavo che significa 'bosco'. E si potrebbe continuare. Ma torniamo al Piave, il cui nome viene
connesso con la radice indeuropea *plow- 'scorrere',
che sta, ad esempio, anche alla base latino pluere
'piovere'. Ebbene esso, dicevamo, nasce tedesco: dr Pòch 'il Rio' lo chiamano infatti famigliarmente gli abitanti
germanòfoni della conca di Sappada. Lasciata la quale esso - precipitando
nell'orrido dal nome suggestivo di Acquatòna,
che evoca il rimbombare delle acque nella forra - si distende in una più grande
vallata dove riceve il nome neolatino di Piài.
Siamo in terra di Comèlico. Sappadini e Comeliani dunque: venuti i primi dalla
regione degli Ultramontani Alemanni posta
a settentrione di quella Zeglia che
segnava il confine del patriarcato di Aquileia; i secondi discendenti degli
antichi pastori transumanti dal Cadore
centrale, venètico e celtico prima ancora che romano. Tewtschen
und Wälischen, Deutonici atque
Latini, come sono indicate nei documenti medievali le rispettive etnie di
appartenenza .
SAPPADA
Da
Longaplavis a Pladen.
Dicevamo
della peculiarità linguistica di Sappada. Qui si parla infatti un dialetto -
detto plódarisch dall'etnico plódar
'sappadino' - che rappresenta un'isola del bavarese meridionale. Esso è
stato sistematicamente indagato dalla studiosa austriaca Maria Hornung, la quale
nel 1971 ha dato alle stampe un dizionario sappadino-tedesco, recentemente
uscito anche in edizione sappadino-italiana. Per quest'opera l'autrice si è
avvalsa di abbondanti materiali in precedenza raccolti dallo studioso locale
Pietro Sartor Schlossar. Grazie al plurisecolare e pressoché totale isolamento
dal mondo germanòfono, la parlata di Sappada ha conservato notevoli
caratteristiche di arcaicità in base alle quali solo (mancano prove certe di
altra natura) è dato stabilire l'origine e la cronologia della colonizzazione
della valle da parte dei suoi attuali abitatori. L'analisi linguistica
porta a concludere che il nucleo originario tedesco si sarebbe installato
qui nella seconda metà del XIII secolo provenendo dalla Pusteria (con tutta
probabilità dalla zona attorno a Sillian) inserito in una corrente migratoria
verso sud-est che si sviluppò sulla direttrice della valle della Gail. È già
stato inoltre giustamente osservato dalla stessa Hornung che la toponomastica
originale del territorio sappadino è quasi completamente
tedesca, essendo pochissimi i nomi di luogo con base romanza (cadorina o
friulana), e che dunque il luogo non era - salvo prova contraria - abitato
stabilmente in precedenza, bensì usato solo stagionalmente come pascolo da
pastori transumanti.
COMELICO
Communegans.
Il
comeliano - come oggi si tende a dire,
ricalcando l'etnico locale comeliàn, invece dell'ufficiale 'comelicese', dell'àulico 'comelicense'
o dell'antico e, in fondo, più corretto 'comelicano' - è un dialetto del
gruppo ladino centrale.
Già nel 1873 G. I. Àscoli nei suoi "Saggi Ladini" aveva ben
individuato la posizione della parlata del Comèlico, la quale all'interno del
dominio linguistico ladino - come egli scrive - «rannoda
in mirabil guisa, dall'una parte, la sezione centrale a cui decisamente spetta,
con l'orientale [il friulano n.d.a.];
e risente insieme di quei fenomeni, che lungo il Piave ci condurranno alla
pianura veneta».
Dobbiamo però a C. Tagliavini il primo ed ancor oggi insuperato studio del 1926
sul dialetto comeliano ed i successivi contributi editi negli anni 1942-1944.
Egli, confermando la collocazione data dall'Àscoli all'idioma del Comèlico nel
quadro ladino, aggiunge però una suddivisione fondamentale - basata
principalmente su criteri fonetici - tra comeliano occidentale (parlato nei
comuni di Danta, Comèlico Superiore, S. Nicolò e nei paesi di S. Stefano e
Casada) e comeliano orientale (Campolongo Costalissoio e tutto il comune di S.
Pietro).
Successivi approfondimenti di G. B. Pellegrini e A. Zamboni hanno meglio
delineato le suddivisioni della cosiddetta "sezione centrale" del
ladino, all'interno della quale il comeliano occupa una posizione autonoma
nell'ambito del "ladino cadorino".
*
* *
Se
alla conca di Sappada il nome di Pladen viene
da quel suo essere tutta distesa lungo corso del Piave, Comelico
(così attestato già in un documento del 1186) si rifà, con molta
probabilità, al concetto di “collegamento” che è intrinseco alla posizione
storico-geografica del territorio posto a cavallo tra Cadore, Pusteria e Càrnia.
I linguisti vedono infatti nel suo nome un riflesso di communegans
'comunicante'.
Riprendendo dunque a seguire il
corso del Piave, due nomi di paesi comeliani si offrono subito al nostro
interesse. Per primo Presenaio
(localmente Pardnèi) attestato nell'a.
1278 come villa de Pragenario: pare
evidente una formazione con pratum (pra) e ienuarius (in
comeliano antico dnèi 'gennaio').
Quest'ultimo potrebbe essere il personale Ienuarius
'Zennaro' versione veneta di 'Gennaro' (quindi 'il prato di Zennaro') ma non
sembra del tutto infondato pensare ad un derivato da ianua 'porta' col significato di 'luogo ove la valle si chiude'.
Poco a valle di Presenaio incontriamo Mare
(Mar, a. 1258 Mare), il cui nome viene probabilmente da un termine che risale
all’indeuropeo *marra 'palude'.
Oltrepassiamo il Rio Rin (una ridicola ripetizione della toponomastica ufficiale: rin
è infatti il termine in uso nel Cadore orientale per 'rio' 'torrente', che,
attraverso un indo-europeo *reinos, ci porta nientemeno che al fiume Reno di Germania) e lasciamo il
comune di San Pietro, un tempo detto
di Oltrerino, per entrare in quello di
Santo Stefano. A ciascun comune
corrisponde un capoluogo con lo stesso nome, come è anche per San
Nicolò che incontreremo in seguito risalendo il corso del torrente Pàdola.
Benché i nomi di questi centri in sé non offrano spunti particolari sul piano
etimologico, pure merita di soffermarvisi. In un documento del 1278, che tratta
di una controversia per la monticazione sugli alpeggi di Visdende tra le ville
'villaggi' della regola di San
Nicolò di Comelico e quelle delle regole di Santo Stefano e San Pietro, appare
chiaramente che non esistevano abitati col nome di S. Pietro, S. Stefano e S.
Nicolò. Questi erano i nomi delle rispettive vicìnie o regole (comunità) ma
non di una villa. Lo stesso documento
offre il destro per fare alcune interessanti congetture sugli antichi abitati
del Comelico: esso, per fare un esempio, cita una villa detta Padula Sancti
Stephani e si può fare l'ipotesi che il luogo ove sorge ora il centro del
paese di S.Stefano fosse in effetti chiamato Padola (detta di S. Stefano poiché che ivi sorgeva la chiesa
dedicata a questo santo ed anche per distinguerla dall'altra Padola di Comelico
Superiore: a. 1242 de Padula Superiore!).
Non abbiamo indugiato sui nomi dei paesi di Valle (Val)
e Campolongo (Cianplòngo),
che si spiegano da sé, come non serve che ci dilunghiamo su quelli di Costàlta (Costàuta) e di
Còsta, nei quali è chiaro l'uso
del termine anatomico 'costa' ('còstola') col significato metaforico di
'fianco del monte', come la posizione dei due paesi lascia ben intendere. Così
è pure in Costalissòio (Costlisegn,
a. 1278 villa de Costalixoio; a. 1281 Costalisono),
in cui ravviseremmo un composto con un derivato di lissa
‘pendio ripido’ e anche 'canale per portare a valle fieno o legname'.
Inoltrandoci nella valle del torrente Pàdola per risalirne il corso, alto sulla
nostra sinistra resta il paese di Danta (
a. 1278 villa de Anta). Non è da
escludere che l'origine del nome sia il latino anta 'pilastro, stipite della porta' che ha assunto vari significati
tra i quali quello di 'asse' 'tavola' passato poi ad indicare un tratto di
campagna (con lo stesso trapasso semantico di tabula che dà in comeliano tavéla
'campagna attorno al paese'). Sul
fondo della valle stanno Casada (Ciadàda,
un derivato di casa), Campitello (Cianpdél
diminutivo di campus) e Géra (a. 1278 de villa de
Glera, da glarea 'ghiaia' come
bene spiega la sua posizione alla confluenza dei due torrenti Pàdola e Digón).
Candìde (Ciandìdi, a. 1186 Candidas)
domina dall'alto sullo sperone tra le due valli fluviali. Il nome è un plurale
femminile e viene probabilmente da *candite
(terrae?) dal lat. candeo
che esprime il significato sia di luminosità che di calore (cfr. il veneto incandìo
dal sol 'riarso' ed anche il comeliano l
saróio incandìs 'il sole brucia'): si può pensare all'esposizione
favorevole del luogo. Condizione di cui certo non beneficia Sopalù
(a. 1317 de subtus palude), posto sotto l'antico abitato, ora scomparso, di
Palude che stava su quello che oggi si chiama ancora Còl
d Palù sotto Candide verso Dosoledo. Senza soluzione di continuità con
Candide, Casamazzagno (S'ciamazégn, a. 1213 Casa
Maçani) si estende sul costone dove evidentemente in origine era
l'abitazione di un tal Mazagno
(personale attestato p. e. nell'a. 1365: Paesius
q. Mazagni de Casamazaio). Poco
oltre troviamo Dosolédo (Dudlè,
a. 1278 de Dasoledo de Comelico; a. 1365 de Axoledo), toponimo questo costruito
con acidula - in comel. dèdla
nome del Rumex acetosa L. - ed il
suffisso -etum che esprime il
significato di collettivo: dunque un fertile prato ricco di acetosella. Chiude
la rassegna dei paesi Pàdola (Pàdule a Pàdola; Padla negli
altri paesi del Comelico; a. 1214 de
Padula; a. 1242 de Padula Superiore).
Certamente da patulus 'aperto, che sta
aperto' e anche 'esteso, ampio, largo', il che si attaglia perfettamente al
paese ed anche al luogo della Pàdola di
S. Stefano sopra citata, ma non al torrente omonimo. Questo avrà preso il nome
dall'abitato, o meglio da uno dei due abitati. Si noti che in loco (a Pàdola e
Dosolédo) il torrente è conosciuto come l
Gèu, l Giòu 'il
Rio' per antonomasia (stessa sorte del Piave a Sappada!). Ma è risaputo che i
corsi d'acqua secondari spesso non hanno nomi specifici e sono designati col
nome generico di "acqua" più un termine di specificazione (potrebbe
essere quindi originariamente "l'acqua di Pàdola"). Queste
considerazioni valgono tanto più per il Digón ed il Cordevole, come si vedrà
in seguito.
Questo luogo patulus 'aprico' ci permette di gettare uno sguardo sulle vette
circostanti dei monti del Comèlico. A mezzogiorno chiude l'orizzonte la lunga
teoria di cime delle Tèrze e dei Brentóni.
Il nome Tèrze potrebbe venire da hora
tertia, cioè le nove di mattina
nel sistema orario medievale, ed essere il relitto di un 'orologio solare'
dei pastori dei piani di Danta, da dove si vede il sole sovrastare, a quest'ora
del giorno, il gruppetto montuoso. Il quale racchiude nel suo seno il vasto
bosco della Dìgola posto a cavallo tra la valle di Sappada e la comeliana Val
Frisón. Un tempo alpeggio di proprietà della regola cadorina di Lorenzago,
esso nei vecchi documenti è denominato Lidiula,
Lidivola e simili. Queste antiche
attestazioni del nome permettono di postulare una formazione aggettivale di lida
'melma' 'fango' (in comel. léda 'creta'),
che indicherebbe in sostanza la natura melmosa del suolo. L'ipotesi è
suffragata dalle condizioni del terreno del passo della Dìgola, sito in realtà
ricco di fango, da cui ha ricevuto probabilmente il nome l'intera zona. Brento, con i suoi derivati tra cui il nostro Brentóni, è termine alquanto diffuso nella toponomastica alpina
come metafora - che richiama il mastello - per indicare conche naturali nel
terreno. In questo gruppo montuoso ben più interessante è il nome del
Monte Crìssin (comel. Crìzi;
a. 1519 Croda de Crizzui): crizi, termine di cui oggidì si è smarrito il significato,
nell'antico dialetto vuol dire 'precipizi' 'luoghi pericolosi' 'burroni'.
Sfiorate appena le dolci ondulazioni dei prati di Zóvo
(da jugum 'valico di montagna'
come l'omonimo monte sopra Costa e la vicina forcella che mette in Visdende),
ecco che lo sguardo incontra l'imponente catena che segna i confini occidentali
del Comèlico. Siamo al cospetto del gruppo del Popèra,
tanto rinomato per le vicende di guerra e di croda di cui le sue pareti sono
state testimoni. Il suo nome (comel. Poipèra
e Npoipèra; a. 1436 il
monte di popera), che per le nostre orecchie ha ormai un suono epico, deve
le sue origini ad un umilissimo pascolo di pecore posto npói
(lat. in post) 'dietro' 'al riparo de' la
pèra 'le rocce' di quello che oggi le
carte indicano come il Crestón di Popèra.
Il toponimo è diffuso solo in Comèlico, dove si contano altre tre località
così denominate, tra cui quella che ha dato il nome alla cima Pupèra Valgrande nei Brentóni. Tra i numerosi e ben conosciuti
toponimi del gruppo del Popèra citiamo Aiàrnola
(Narla, a. 1314 Ayarola), nome di
alpeggio di proprietà del paese di Calalzo di Cadore prima ancora che della
cima ad esso sovrastante, il cui étimo è con tutta probabilità àier
'acero'.
Abbandonato il Popèra e volti gli occhi verso settentrione, ci appare l'aguzza
sommità del Quaternà (comel. Cutarnà,
Cutarné; a. 1213 Collem Trunadum, a. 1271 Coltrunà:
'a forma di trono' cioè 'elevato'). Esso separa la testata della valle del
torrente Pàdola da quella del Digón.
(a. 1216 in Dugono). Le considerazioni sull'origine dei nomi dei corsi
d'acqua, esposte a proposito del torrente Pàdola, valgono a più forte ragione
per il Digón, il quale deriva il suo nome dal latino medievale ducone
(da ducere) 'sentiero'. Poiché risulta difficile comprendere come possa
un simile appellativo essere attribuito ad un corso d'acqua, tentiamo una
spiegazione. Esso era in origine "l'acqua della villa de Dugono", antico abitato ora scomparso, citato sin dal
1191 e situato con tutta probabilità
sulle sue rive poco a monte dell'odierno paese di San Nicolò. A sua volta
questa villa era così denominata in
quanto attraversata dal ducone che
conduceva verso gli antichissimi alpeggi cadorini posti di qua e di là dalla
cresta spartiacque che oggi segna il confine di stato. Tra questi Melìn,
detto un tempo Londo Domeglino cioè 'Londo
di Domegge', antica vicìnia del Cadore centrale, dalla quale in seguito si
originarono le regole di Candide e San Nicolò. Ci avviamo alla conclusione del
nostro breve excursus toponomastico e
da Melìn immaginiamo di salire brevemente al valico che porta in Visdénde, anticamente Visidende.
Questo interessantissimo toponimo presuppone
un *vicitende (da
vicite termine pastorale molto diffuso in ambito romanzo), con origine
comune all'italiano 'vicenda' e analogo significato di 'avvicendamento' 'turno'
(nella custodia del bestiame in questo caso). Qui, dalle pendici settentrionali
delle Crode dei Longerìn (comel. I
Longiarìns da
*longaria 'striscia di terreno lunga e stretta'), possiamo cogliere
d'infilata un'altra serie di alpeggi dai nomi antichi, cui fa da sfondo la mole
del Peralba donde siamo partiti. Vediamone alcuni. Sotto di noi un altro Lòndo
(a. 1278 Londo arvaglino così denominato un tempo per distinguerlo dal
precedente domeglino: Arvaglo
era la vicìnia di Oltrepiave da dove partì la colonizzazione del Comèlico
orientale). Era detto anche Londo de Viscada (da visco
'vescovo' forse nel senso originario di 'sorvegliante') da cui l'odierna Vissada.
Per quanto riguarda l'origine di Lòndo
si può proporre il comel. dalònde
dal lat. de longe avv. 'lontano'. Segue Dignàs
(comel. Degnàs; a. 1186 Degnasum),
forse da tinea più suffisso -aceu
per 'terreno arido'. Manzón con una
variante dialettale Monzón, che ci
porta ad un *montione accrescitivo di
'monte, alpeggio'. Più in là Àntola
(a. 1362 Antola Cargnela), che era un
tempo in territorio di Carnia come il seguente Chivión. Per il significato del
toponimo osserviamo che àntol in
comeliano significa 'piccolo appezzamento di prato' e si ricollega al nome del
paese di Danta a cui rimandiamo per
l'ipotesi etimologica. Infine Chivión
(comel. Ciovión; a. 1351
Caueglo; a. 1623 Chiauiglion). In comeliano il ciovión
è il Nardus stricta L. (erba
di alta montagna che forma dei cespi). Il nome viene da capitulum
col significato di 'piccolo capo'.
Vorremmo concludere col
Piave dal quale ha preso le mosse il nostro viaggio. Una vecchia contesa circa
l'origine vera del fiume di tanto in tanto riaffiora: c'è chi lo vorrebbe far
nascere dal versante di Visdende del Peralba, altri salomonicamente ha deciso
per l'esistenza di un “Piave di Sappada” ed un “Piave di Visdende”.
Quest'ultimo è naturalmente il torrente che nella cartografia ufficiale è
indicato come il Cordévole,
denominazione ormai tanto consolidata quanto ingiustificata. Difatti nessun
locale usa questo nome per il corso d'acqua, nemmeno dove esso in località Ponte
Cordévole (comel. Cordóol) si
mescola col Piave. Per i comeliani questo è il luogo dove dove l'Aga
dla Salvéla incontra l'Aga dla Sapada
generando la Piai (femminile: si
ricordi la dantesca “Piava”). È ben vero peraltro che il principale
collettore delle acque della valle di Visdende nel suo tratto pianeggiante è
detto dai vecchi comeliani anche la Piài
ma ciò si spiega col fatto che, se per i Sappadini il Piave è 'il Rio' per
antonomasia, in Comelico invece piài è
diventato a sua volta appellativo generico per indicare ogni corso d'acqua di
una certa importanza (la piài dal Taliaménto
era per i vecchi il fiume Tagliamento!). Sul piano storico ci pare invece
assolutamente risolutiva - per por
termine alla disputa - l'antica attestazione Longaplavis che colloca il tratto iniziale del nostro fiume nella
valle di Sappada.