Comelico...
comunicante
a cura di Achille Carbogno
tratto da il "Sentiero Frassati" del Veneto
Recenti
interessanti esplorazioni hanno confermato anche nelle vallate del Comèlico la
presenza del cacciatore mesolitico (8-6.000 anni fa), in numerose stazioni sui
2.000 metri, al limite superiore del bosco, secondo una tipologia economica
specifica dell'ambiente alpino al termine dell'era glaciale, in una fase
climatica boreale con caldo secco e poi atlantica con caldo umido. Questa
attività avveniva durante l'estate, al seguito delle migrazioni stagionali dei
cervi e dei caprioli, e anche degli stambecchi e dei camosci per le praterie
estendentisi sopra il bosco, il cui limite era allora più elevato di un
centinaio di metri di quello attuale. Già allora questa economia arcaica
assunse - probabilmente - la doppia figura della caccia-allevamento con
uomini-nomadi cacciatori di selvaggina in bivacchi mobili e donne
semiallevatrici di cerve e cerbiatti, a quote inferiori, in campi stabili. Ad
allora - forse - risale la rete di tracce-tratturi-dìzogn, retaggio di
questi massicci spostamenti di erbivori, che hanno segnato con naturalezza e
istinto atavico gli itinerari da valle a valle, lungo i crinali erbosi, attorno
alle zone umide, e che sono certamente all'origine dei numerosi collegamenti in
quota ripercorsi dai pastori nomadi e transumanti dell'alto medioevo.
Chi voglia dare un'occhiata alla carta di G.F. Carli (1713) o, ancor meglio,
alla riproduzione acquerellata del barone von Zach (1806) scoprirà un reticolo
intensissimo di tratturi-mulattiere che vanno in ogni direzione e che sono
certamente frutto di una frequentazione-transumanza intensa e consolidata nel
tempo. Vi si notano collegamenti di valico ad ogni forcella, con la Valle del
Gail, con la Pusteria, col Cadore e con la Carnia (Val Pesarina). Veramente
questa valle meritò l'appellativo di Communegans (“val cummunega”
nel diploma di Ottone II dell'anno 974, dove figura tra alcune località contese
- «quadam loca ìnjuste et inlegitime subtracta», segno di una
concorrente espansione dei signori da Camino; oppure ricerca
di un'autonomia ante lùtteram dal dominio del Vescovo di Frisinga e
della abbazia benedettina di San Candido?).
Un transito così antico e consolidato fece di questa alta valle del Piave un
luogo di snodo “storico”; il De Bon vi fa passare addirittura la Claudia
Augusta Altinate (con reperti a Zancurto e al Passo di Monte Croce Comèlico), -
forse esagerando il riferimento storico. Ma certamente un collegamento (dìvertìculum)
verso il Norico nell'età tardo-imperiale, qualche secolo dopo, è da
ritenersi possibile. Le recenti scoperte di insediamenti romani ad Auronzo
consentono e confermano questa ipotesi. De Bon afferma anche di aver sentito
parlare di monete romane rinvenute in quel di Pàdola. E, del resto, i Venetici
erano attestati da tempo nella bassa Valle del Gail, e lo furono fino alla prima
età imperiale.
Transitarono per il Comèlico le legioni romane durante i celeri spostamenti dai
campi di pianura al Norico nelle campagne di conquista di Druso, o di successivi
consolidamenti imperiali? (la capacita di marcia dei legionari romani era di
20-25 km al giorno su lunghe distanze!). La fantasia consente di immaginarlo. E
cavalcarono i barbari questi sentieri, qualche secolo dopo? Calcarono le piste
comeliane le sparute torme di Unni, Goti, Eruli, Quadi, Marcomanni? Chissà!
Erano troppo agevoli le grandi vie dell'Adige e del Tagliamento per invogliare
l'inoltro in queste recesse gole... Ma certamente si consolidò in quei tempi la
presenza di pastori transumanti cadorini o Veneti fuggiaschi dalle valli
pusteresi di fronte all'invasione dei Baiovari (VI secolo d.C.). Sappiamo anche
che allora il clima fu per secoli straordinariamente mite, come mai in tempi
storici. E certamente i vecchi sentieri furono nuovamente calpestati, gli alti
pascoli frequentati, le polle d'acqua utilizzate... E abbastanza scontato
pensare ad un Comèlico ricco di pascoli e di terrazzi solivi dove via via si
attestano vari nuclei familiari sparsi, immaginare tanti stavoli collegati tra
loro da un reticolo di mulattiere, rappresentare con la fantasia queste piccole
operose comunità che dissodano, sfalciano, concimano, pascolano, allevano...
guidate dall'anziano genitore, con unità di intenti e di indispensabile
collaborazione in un ambiente aspro e ostile.
Di questo remoto ed oscuro periodo non resta traccia, ma è qui che si
consolidano gli insediamenti sparsi, le abitudini comunitarie, le dinamiche
collettive in un processo tenace di crescita e di sviluppo. Qui germina e si
salda il processo di capillare penetrazione del territorio, attraverso borgate
sparse a decine lungo i costoni ed i terrazzamenti più adatti. Un periodo di
faticosa e silenziosa crescita, scandito dai ritmi delle stagioni e dalle scarne
dinamiche sociali... Poi - alla fine del XII secolo - compaiono
i primi atti scritti, rogati dai notai imperiali, che registrano negozi di
permute, di cessioni, di affitti di pascoli, di vendite di foraggio... Atti dai
quali traspare tutto un pulsare di vita, una crescita economica ed una vivacità
sociale che testimoniano una organizzazione ormai attestata che ci consente di
collocarne le origini ben più addietro nel tempo.
E da notare che tra la fine del secolo XII e la fine del XIII la montagna subì
un peggioramento climatico notevole e brusco, che rese certamente più difficili
i collegamenti con i Cadorini e con i Caminesi, con una progressiva
accelerazione dei processi di autonomia. Da qui forse la lenta, ma costante
erosione del lontano dominio dei Caminesi e il progressivo consolidamento delle
autonomie regoliere. La natura egualitaria della società alpina si riflette in
due istituti culturali: la presenza della proprietà comune ed il conseguente
obbligo del lavoro coatto collettivo (piòdgu) per la manutenzione delle
strutture comunali, strade, ponti, chiese, fontane, casère; la difesa dai
pericoli della natura e dell'uomo: insomma la socialità in funzione del
bisogno. Da qui perciò il forte controllo della comunità sull'uso dei beni
comuni (prati, pascoli, boschi) e sui diritti di proprietà, la vendita ai
forestieri scoraggiata o proibita, la discendenza patrilineare. Ecco quindi che,
se in altre zone rurali (pianura) il contadino soggiace acquisendo la patina e
la nomea di “villano” o di “rustico”, in Comèlico possiamo pensare ad
un pastore-allevatore (e più in là, col tempo, “boschiere”) uso a
districarsi con coraggio ed autonomia fuori dai controlli
mistici-religiosi-politici di zone più centrali. Questa marginalità (non
emarginazione) è certamente una concausa di quell'individualismo esasperato che
permea i Comeliani a tutt'oggi, nonostante la globalizzazione...
Ma torniamo ai nostri sentieri e al Comèlico “comunicante”; vi transitarono
certamente i romei diretti in pellegrinaggio ai giubilei romani, magari
affascinati o distratti da qualche anguana, le sirene del Medioevo; e più
tardi i pellegrini diretti al Cristo di Pieve, a Sant'Qsvaldo di Sàuris, alla
Madonna di Luggau, alla Collegiata di San Candido. Vi passò l'imperatore
Massimiliano I («povero cacciatore di camosci», come amava definirsi) con le
sue soldatesche nel marzo del 1507, diretto contro il conte Girolamo Savorgnano
dal quale sarà sconfitto nel 1508: così relazionava Nicolò Macchiavelli -
diplomatico della Repubblica Fiorentina a Merano - in vari dispacci, nei quali
il Comèlico viene definito «Comoligon, Comelicon, Comelicone»: è
evidente il richiamo fonetico e storico al citato «Communegans»!
Vecchi schizzi del Seicento riportano con molta precisione i collegamenti del
Comèlico con la Valle del Gail, col Cadore, con la Pusteria, con la
Càrnia; sarà servita la loro stesura ad uso commerciale o militare, di fatto
confermano l'importanza della zona. Per questi sentieri, per questi tratturi,
passarono - volta a volta - cacciatori e contrabbandieri per sopravvivenza,
emigranti per necessità, clòmpar e cròmar per le scorribande
stagionali, mercanti di legname per i consueti affari (le oligarchie del tempo,
anche con accorgimenti poco legali, contribuirono ad arricchire se stesse e ad
impoverire i proprietari). Attraverso il Comèlico passò anche San Carlo
Borromeo, Cardinale, Arcivescovo di Milano e Segretario di Stato dello zio Papa
Pio IV a soli 23 anni; verso la conclusione del Concilio di Trento (1563) volle
visitare l'abbazia di San Gallo di Moggio Udinese della quale era stato creato
beneficiario ancora giovanissimo.
E in seguito, durante le scorrerie napoleoniche, vi si affacciarono Croati e
Ungheresi da nord e Francesi da sud con angherie e spoliazioni; e ancora i
Tirolesi antinapoleonici di Andreas Hofer.
Un cenno meritano anche le “vie d'acqua” sulle quali fluitavano verso la
Piave (allora femminile) i tronchi convogliati dai menadàs. Nell'Ottocento
si contano in Comèlico cinquanta opifici (mulini, segherie, fucine) mossi dalle
acque operose, ora quasi mute. Il secolo XIX vide anche la costruzione delle
grandi arterie moderne, prima quella detta “della Valle”, àuspici gli
austroungarici per ragioni militari. Ed ecco arrivare gli ufficiali mappatori
austriaci prima, ed italiani poi, che calcano le vette per collocarvi i precisi
riferimenti geodetici; ed i primi turisti ufficiali, gli inglesi Gilbert e
Churchill (con rispettive mogli) per due volte, nel 1862 e nel 1868. La Valle
ora è aperta a vari altri esploratori, pionieri dell'alpinismo, naturalisti,
ricercatori. Nel 1882 arriva la Regina Margherita con il principino Vittorio
Emanuele, che vi ritornerà da Re nel terzo anno della Grande Guerra per una
ispezione al fronte del Colesèi, seguito, alcuni mesi dopo, dal Generalissimo
Luigi Cadorna. Affluirono nel 1915 migliaia di soldati da ogni parte d'Italia,
d'ogni regione e d'ogni Arma, per difendere questo estremo lembo d'Italia;
furono così perfezionate, con ottime mulattiere, le comunicazioni locali in
quota. Nei primi mesi di guerra era giunto anche il Capo del Governo, On.
Antonio Salandra a scrutare quel Passo della Sentinella che qualche tempo dopo
sarebbe divenuto l'emblema dell'ardimento dei “Mascabròni”. Dopo la rotta
di Caporetto le invitte truppe del Cadore dovettero ritirarsi per far posto al
veloce irrompere degli austroungarici dell'Imperatore Carlo I; dopo un anno esatto,
il tricolore italiano si riaffaccerà vittorioso e per sempre. E anche i cingoli
dei carri armati americani rullarono nel maggio del 1945, al termine dell'ultima
conflagrazione mondiale.
Così - nell'eterno divenire delle umane vicende - si mescolarono su queste
contrade transumanze ed alpeggi, operosità contadine e frenesie mercantili,
saccheggi e ricostruzioni, processioni oranti e tumulti rabbiosi, fremiti
orgogliosi e delusioni sofferte... la vita dell'uomo nella sua complessità e
mutevolezza.
Ripercorriamo questi sentieri, che furono dei nostri padri e delle nostre madri,
cercando di ritrovare attraverso trùis, dizògn e biguzèri i
segni e le vestigia dei nostri avi, lo spirito e l'anima dell'antico Comèlico
“comunicante”!