PREFAZIONE
La figura di Pio Zandonella Necca, pur a 25 anni
dalla sua morte, rimane viva nell’animo di tutti coloro che l’hanno
conosciuto e, in particolare, è ancora presente nella memoria e nella stima
della gente del Comelico.
Al di là dei tratti umani che, in maniera notevole,
erano presenti nella sua spiccata personalità, negli ultimi anni di vita si era
fatta strada in maniera più prepotente la vena poetica, che ha lasciato una
produzione in versi di notevole consistenza e spessore.
Oggi la Sežión
ladinä d’Cumelgu,
con la collaborazione dei figli del dottor Pio, è lieta di poter pubblicare in
prima edizione l’intera opera, che si compone di 91 poesie per un totale di
ben 150 sonetti: una produzione cospicua che è stata raccolta e ripartita in
filoni tematici significativi.
Per quanto riguarda la grafia, si è privilegiata
quella scelta dall’autore, con l’adozione di alcune forme utili per
favorirne una più agevole lettura.
Apprezzando il contenuto di quest’opera ci si rende
conto che Pio Necca ha la stoffa del vero poeta. Non lo diciamo “grande” e
questo non perché noi non lo pensiamo tale, ma perché lasciamo a tutti i
lettori il piacere di scoprirlo da soli, senza che una prefazione li influenzi
troppo. Poeta è chi vive le cose di ogni giorno in un modo nuovo, più vivo, più
personale. Poeta è chi elabora la sua esistenza, commisurandola a sentimenti
profondi ed universali. Poeta è chi sa dire in modo grazioso quello che tutti
sentono in fondo all’anima, ma che non riescono ad esprimere. Proprio per
tutto questo il nostro Autore è un poeta.
Egli stesso si è chiesto perché mai gli sia sorta
questa ispirazione e come essa si traduca in rime. E’, secondo lui, una
questione di indole, di sensibilità, di vocazione, in cui una parte
piccolissima ha la volontà e l’educazione. Bisogna però notare che la sua
forma è pulitissima, metricamente curata, tanto più che egli si è sempre
cimentato nella forma del sonetto che, come tutti sanno, è una delle forme
poetiche più esigenti e difficili, in quanto richiede rima fissa e il numero
esatto di versi e di sillabe. Per questo pare giusto ridimensionare un poco la
sua affermazione di spontaneismo, accampata, forse, per non voler apparire
presuntuoso e superbo. E’ stato detto che egli si è cimentato con la poesia
fin da giovane studente e quindi le composizioni che qui appaiono sono il frutto
di un’esperienza di più decenni e di un lavoro di lima di non poca
importanza.
In alcune sue liriche egli chiarisce anche il motivo
per il quale sceglie di esprimersi in dialetto; sono ragioni di carattere
sentimentale e di nostalgia, perché la forma italiana gli sarebbe stata
altrettanto congeniale, come provano le poche composizioni in lingua rimasteci.
Ma il fatto che il poeta abbia usato il dialetto fa sì che la sua produzione
abbia un notevole valore anche al di là dei contenuti; infatti queste poesie
sono la testimonianza della capacità del ladino di servire a composizioni di
grande impegno contenutistico e formale. Di particolare interesse è la
dimostrata duttilità del dettato dialettale a piegarsi alle esigenze del verso
e alla tirannia della rima.
Entrando ora ad esaminare i
“filoni” di ispirazione, cominciamo con l’osservare che una discreta parte
della produzione poetica di Pio Necca è dedicata alla natura. Sono, per solito,
visioni, panorami e avvenimenti atmosferici del suo Comelico che lo interessano;
non mancano, invero, delle liriche dedicate al mare o a paesaggi lontani dalla
sua terra natìa, ma questo è piuttosto marginale. Il Comelico risulta, in tal
modo, il re della natura, con i suoi tramonti e le sue albe, i suoi temporali e
le sue improvvise folate di vento e di tramontana. Ma sotto questa natura, vive
la gente che, sola, sa dare un senso a tali avvenimenti cosmici così importanti
e così ripetuti, ma che, sotto l’occhio del poeta, ci sanno parlare in
maniera diversa, rivelandoci squarci inattesi, colori vibranti, nostalgie
segrete.
Un secondo filone è costituito dai ricordi della
giovinezza nei quali ripercorre avvenimenti vissuti in guerra o i quadretti
della vita del paese o i ricordi di bambino disseminati abbastanza
abbondantemente.
Una certa ampiezza ha il settore delle composizioni
“estemporanee”, nate quasi per caso, o quelle che si rifanno ad avvenimenti
particolari, come una cena di alpini, la visita del Coro Comelico a Milano; o
ancora le considerazioni su un orologio, l’arrivo di un esattore, ecc. Proprio
in queste composizioni si nota la capacità del poeta di non banalizzare i
contenuti e, di volta in volta, di saper ispirare una carica emotiva alla
celebrazione o un pizzico di ironia e di furbizia al quadretto.
Assai ampia è la raccolta di liriche amorose. Si
tratta di avvenimenti rivissuti con intensità, con partecipazione emotiva
profonda, sempre con grande tristezza, poiché tutti i suoi desideri sembrano
essersi vanificati prima di realizzarsi. E questo comincia fin dai banchi di
scuola, quando la sua amica si fidanza con un altro; continua poi vedendo le
persone amate seguire strade diverse e ritornare a lui o solo nella sua fantasia
o in situazioni ormai senza uscita. Tre elementi paiono qui predominare: la
tristezza per il passato che avrebbe potuto essere diverso, la resa corposa del
sentimento, per nulla gracile o aereo, ed infine la grande sincerità, che non
trascura particolari assai personali e che si svolge a partire da elementi alle
volte trascurabili, come un accendino, le sue mani invecchiate, alcune cartoline
illustrate, ecc.
Notevole ampiezza ha anche il settore che riguarda i
personaggi: si tratta di suoi parenti, di suoi amici, di conoscenti, di ricordi
dell’infanzia fra cui, tipico esempio, l’asino del mugnaio, visto con la
simpatia dell’adulto e preso quasi a simbolo della sua stessa esistenza.
Il poeta era certamente religioso, anche se forse non
sempre come apparivano quelli del paese e della sua famiglia. Della religione
egli ha saputo cogliere non solo gli elementi esteriori (come i due Santi della
Chiesa di Dosoledo) o qualche elemento di particolare intensità affettiva, come
un funerale, una vigilia di Natale, un pomeriggio assolato con una visita alla
chiesa; egli ha saputo pensare agli insegnamenti del catechismo e della morale
cattolica e su essi misurare e giudicare la propria esistenza, con un piglio
piuttosto severo, da giudice impietoso, anche se poi chiede aiuto alla
misericordia di Dio e chiede un po’ di tempo per rimanere a contatto personale
con il Cristo col quale in vita non ha mai colloquiato a lungo.
La sua filosofia è spesso incentrata sulla morte, ma
non dimentica la vita, la famiglia, i suoi figli, ai quali vorrebbe impartire la
lezione vera non tanto con le parole, quanto con la sua stessa esistenza. Anche
qui la sincerità poetica è in primo piano ed il sentimento è intenso, pur se
contenuto.
Queste varie tematiche qui appena accennate, si
intrecciano in vari modi e sono sfaccettature di un unico problema, considerato
di volta in volta sotto angolature diverse.
La profondità delle liriche e la loro bellezza formale possono variare, ma l’impressione che rimane nel lettore che ha percorso tutto questo itinerario poetico sarà certamente di vera ammirazione.
Sergio Sacco