Dopo secoli di lotta con la povertà
della propria terra dove troppe fatiche riuscivano a sfamare a stento tante
bocche, non rimaneva che barattare l’attaccamento alla propria valle e alla
famiglia con una maggiore prosperità cercata altrove. L’emigrazione
stagionale era diretta nelle vicine nazioni europee, quella permanente varcava
gli oceani raggiungendo le Americhe e l’Australia. Così, da lontano un pane
abbondante veniva trasferito sulla tavola dei familiari rimasti in paese. Gli
stagionali erano in gran parte stagnini e tra di loro qualche indoratore
restaurava gli oggetti sacri; abbondavano i muratori, i manovali, i boscaioli, e
i minatori. Le prime partenze furono vissute come un rito dall’intero paese;
poi subentrò l’assuefazione al distacco. Con il carro o la slitta gli
emigranti varcavano il passo di Monte Croce incominciando una nuova stagione di duri sacrifici. Per la famiglia, iniziava
l’attesa del loro ritorno. Capitava non di rado che qualcuno perdesse per
lungo tempo la via del ritorno lasciando a casa anche il dolore
dell’abbandono. A Natale e d’estate rientravano in molti portando guadagni e
gioia in quasi tutte le famiglie. Anche dall’America qualcuno rientrava con
notizie di quelli che nel frattempo erano giunti a rinforzare quella lontana
parentela. Giovani e sconosciute generazioni andavano via vai sostituendo tante
persone care. All’esodo così massiccio di potenzialità umane non si è
accompagnata una nuova valorizzazione delle risorse locali in funzione di uno
sviluppo diverso: oggi siamo ricchi di meravigliose malghe vuote.