Comelico Cultura   

 

È un antico focolare (larin): attorno alle fiamme, vive e crepitanti, c’era fuliggine nera. Prima di vagabondare per corridoi e scale quel fumo sostava ad insaporire li penduli di maiale che, appese su apposite stanghe ancorate al soffitto, scendevano ad eccitare i già robusti appetiti. Poche povere stoviglie erano ordinate sulla skafä sempre appesantita da capienti secchi di rame colmi d’acqua. Il focolare stava normalmente nel mezzo della parete buia, circondato da logore panche alle quali distribuiva luce e calore. Alla catena era appeso il cudruzu (paiolo) dal quale usciva il solito profumo di polenta. Cuoceva lentamente nel brundìn la minestra d’orzo talvolta impreziosita da qualche osso affumicato di maiale. In alto, lontani dalle braccia dei bambini, restavano a stagionare i ziger col santigu (ricotta con erba cipollina) usati per condire aldagni e kansanze. Al centro della cucina era sistemato il tavolo circondato da panche modellate da generazioni di rustici commensali.

In un angolo, protetta dai rigori dell’inverno, la kapunèrä (gabbia) delle galline, alle quali – per gratitudine – era consentita una così stretta convivenza. Ai profumi vari e forti si mescolava l’abituale aroma di formaggi troppo stagionati. Qui la famiglia riunita si nutriva di cibi poveri; ciò che, di rado, non veniva interamente consumato era subito riproposto al pasto successivo.

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